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Basta discutere di Natale e Capodanno. La politica si occupi del Recovery Fund Enrico Rossi


Basta discutere di Natale e Capodanno. La politica si occupi del Recovery Fund

Enrico Rossi


Anche questo giovedì una nuova edizione della newsletter con il podcast della trasmissione di oggi a Controradio di Firenze. Con Raffaele Palumbo abbiamo parlato di Recovery Fund e smartworking. Buon ascolto!


Il pranzo di Natale? Meglio discutere del Recovery Fund
In questi giorni sembra che il dibattito politico e giornalistico (salvo rare eccezioni) sia dominato da un grande interrogativo: faremo o no il pranzo di Natale? Come ci comporteremo per il cenone di Capodanno? Tutto lecito, intendiamoci. Ma sarebbe opportuno che il Paese andasse oltre e si interrogasse su come utilizzare le risorse del Recovery Fund. Stiamo parlando di 200 miliardi di euro solo per l’Italia, risorse che potrebbero essere impegnate su temi chiave come ambiente, sanità, sviluppo industriale, scuola e ricerca. A mio parere serve un rapido cambio di passo. L’Italia deve essere in grado di fare presto e bene, senza tirare fuori dal cassetto progetti vecchi e superati. Quello che serve è una visione dello sviluppo del Paese. E per costruire questa visione occorre un patto tra le forze sociali, sindacali e imprenditoriali perché il Recovery Fund non può essere un tema delegato alla discussione dei soli apparati ministeriali.

Meloni, Salvini e i nemici dell’Italia
È particolarmente indecente l’atteggiamento di Meloni e Salvini che difendono i veti che pongono i Paesi dell’est al nuovo bilancio dell’Unione europea. Paesi, come Ungheria e Polonia, che calpestano quotidianamente lo stato di diritto, che limitano la libertà di stampa, il sindacato, la magistratura. Mi chiedo come sia possibile che un partito come Fratelli d’Italia – che si definisce “patriota”, “nazionalista”, “sovranista” e che a parole vuole difendere gli interessi dell’Italia – possa appoggiare chi non vuole che al nostro Paese siano destinati 200 miliardi di euro del Recovery Fund. È un atteggiamento anti-italiano.






Sullo smartworking o, meglio, sul telelavoro
La sinistra deve riflettere urgentemente sui tempi nuovi che riguardano l’organizzazione della società e del lavoro. Il Covid-19 ha imposto comportamenti, stili di vita, modi di lavorare e di produrre che non saranno spazzati via il giorno in cui tutto – e non sarà presto – ritornerà alla normalità. Lo smartworking o, meglio, il telelavoro ha indubbiamente degli aspetti positivi. Ma lavorare da casa è anche isolamento, chiusura, frammentazione. Riduce, per esempio, la possibilità di rivendicazioni sindacali. E poi: fino a che punto si può garantire al lavoratore il diritto alla disconnessione? Le domande sono tante, per questo è fondamentale discutere e contrattare le nuove forme di lavoro da casa, senza lasciare spazio alla deregolamentazione. Altrimenti si rischia un ulteriore aumento delle solitudini, delle paure, degli egoismi e delle diseguaglianze. Non vorrei alla fine ci si trovasse chiusi in casa, serviti da Amazon, con i ristoranti trasformati in grandi cucine e i rider che ci portano il cibo a domicilio. Non mi sembra una prospettiva positiva per il futuro. Permettetemi una parentesi personale: mia madre è stata una lavoratrice a domicilio per tanti anni. Molti studi ci dicono che nel secolo scorso il lavoro a domicilio è stato una fonte dello sviluppo, un contributo all’accumulazione capitalistica ottenuto con il sacrificio di tanti lavoratori, soprattutto donne. Per mia madre quel lavoro era la “cestaia” (fare cesti di abete scortecciato) e poi la “magliettaia” per le aziende tessili del distretto di Prato. Lavorava giorno e notte. Non vorrei che questa fosse la prospettiva del secolo nuovo.

Buona serata,
Enrico Rossi


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