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L’Italia non si taglia”, anche le Acli firmano l’appello per dire NO all’autonomia differenziata



Fermiamoci finchè siamo in tempo.
Se questo non dovesse sciaguratamente accadere, la nostra battaglia continuerà, con ogni strumento messo a disposizione dalla democrazia.

QUANDO il vice-presidente di turno Gian Marco Centinaio, leghista della prima ora, fedelissimo di Calderoli, dà il via libera in Senato alla votazione dello Spacca Italia, dai banchi dell’opposizione parte l’inno di Mameli. Gli esponenti del Carroccio rispondono mostrando la bandiera della Serenissima. Può calare il sipario: l’autonomia leghista è servita: 110 voti a favore, 64 contrari e 3 astenuti. Il primo via libera al disegno di legge, che ora passa alla Camera, è degno di una pièce teatrale. Ma non finisce qui: lo spettacolo continuerà nei prossimi giorni con largo impiego di uomini e mezzi: in Veneto già fervono i preparativi, si spolverano i gonfaloni, poco ci manca che si tiri fuori la sacra reliquia, l’ampolla immersa nelle acque del Po. Erano dai tempi di Umberto Bossi in canotta, di Roma ladrona che il Carroccio non godeva così.

Cos’è cambiato d’allora? Molto, anche se non sembrerebbe. La Lombardia del governatore Attilio Fontana già si candida per applicare la legge prima ancora che venga approvata dall’altro ramo del Parlamento. Il presidente del Senato diserta la seduta, fa in modo che a metterci la faccia in diretta televisiva su Rai2 sia Centinaio. 

Esultano i protagonisti principali: Salvini e Zaia, squilli di tromba per una giornata che non esitano a definire “storica”. I dem mostrano cartelli con il Tricolore, un tempo prerogativa dei Fratelli d’Italia. La recita è a parti invertite.

Cala così il sipario dunque sul primo atto di questo teatro dell’assurdo che è stata finora l’autonomia differenziata, la legge-quadro Spacca Italia votata al Senato che disciplina l’applicazione dell’art.116 comma 3 per le regioni a statuto ordinario. L’avevamo definita una bomba senza innesco. In realtà per ora è solo una scacciacani che spara a salve. Da ieri però ai governatori del Nord è stato concesso il nulla-osta per il porto d’armi.


Sotto tiro è finito fatalmente il Sud che in questa bagarre (che non c’entra nulla con il federalismo previsto dalla nostra Costituzione) ha tutto da perdere. “E’ un riforma nemica del Mezzogiorno”, accusa la dem Pina Picierno. E non possiamo dargli torto. Per Calderoli, invece, il ministro che l’ha fortissimamente voluta, “è il primo risultato “concreto verso un traguardo storico”. Nulla da dire, però. Calderoli è stato “bravo”. L’ha collegato alla legge di bilancio nonostante l’art. 8 del Ddl preveda espressamente l’invarianza di spesa. Ha fatto dichiarare inammissibili gli emendamenti dell’opposizione in cui si prescriveva l’invarianza di bilancio ma poi, in Aula, è stata approvata una modica firmata da Andrea Di Priamo (Fdi) in cui si esplicita che la legge non dovrà comportare alcun onore di finanza pubblica e dovrà subordinare la devoluzione alla definizione dei Lep. Una violazione dell’articolo 81. Tutto e il contrario di tutto, insomma, il “capolavoro” del regista Calderoli.

L’idea di mandare in diretta tv la seduta è stato il colpo di teatro finale. Il resto è quasi contorno. Rosy Bindi che parla di “stravolgimento dei connotati della Repubblica”. Peppe De Cristoforo (gruppo Misto Avs) che in Aula minaccia un referendum abrogativo. “Avete fatto uno scambio scellerato, l’autonomia differenziata in cambio del Premierato – punta il dito De Cristoforo – due riforme opposte, il massimo centralismo da un lato, il massimo decentramento dall’altro. Un progetto devastante per il Sud ma anche per il Nord. Gireremo l’Italia – annuncia – raccoglieremo le firme, sosterremo i comitati. Vi chiameremo Fratelli di “mezza Italia”. I livelli delle prestazioni, prima che essere minimi dovrebbero essere uniformi. Il fondo di perequazione ridotto, da 4,6 miliardi è passato a 800 milioni. Sono numeri che parlano da soli e mostrano le reali intenzioni di chi ha ideato questa legge.

E ora? La Lega si aspetta il via libera della Camera prima delle Europee. Tradotto vuol dire che sarà argomento della prossima campagna elettorale. “Ci sono gruppi parlamentari meridionali che stanno tradendo il Sud – lancia i primi slogan il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca – E mentre io ho ripetuto da sempre che per me gli interessi della Campania vengono prima delle bandiere di partito, c’è chi, soprattutto della maggioranza di governo, se ne infischia dei territori e pensa soltanto a difendere le proprie bandiere”. Il punto chiave è sempre lo stesso. L’autonomia differenziata si deve fare ma senza oneri per il bilancio dello Stato. “E come si fa la perequazione senza oneri aggiuntivi? – si chiede De Luca – Noi dobbiamo fare soprattutto un’operazione verità, spiegare agli italiani che oggi il Sud è derubato, altro che le palle che ci stanno raccontando: ci stiamo giocando l’unità d’Italia”.

Dissenso lo esprime Dafne Musolino, di Italia Viva dai banchi del Senato: “Le risorse economiche per attuare le autonomie non ci sono, come si attuerà questa autonomia spacca Italia? Con il gettito di uno o più tributi locali che verranno trattenuti sui territori per finanziare i Lep”. “Questa legge è fatta male – continua la Musolino – quale urgenza c’era di portarla in Parlamento. Grazie al lavoro delle opposizioni si è stabilito che i Lep andranno stabiliti equamente su tutto il territorio nazionale, un enunciato che si scontra con il fatto che non devono derivare nuovi oneri per la finanza pubblica. Siamo dinanzi ad un corto circuito narrativo. E al Sud sono state sottratte risorse per 15 miliardi”. Azione, il gruppo di Carlo Calenda si astiene, ad eccezione di Mariastella Gelmini che si dissocia e vota “sì”.

Mario Occhiuto, capogruppo in I commissione di Forza Italia spiega il voto a favore come “apertuta di credito al governo”. “Va raggiunto un punto di equilibrio con la garanzia dei finanziamento dei Lep – dice – chi pensa che questo Paese si possa spaccare per via di questa riforma può dormire tranquillo, noi vigileremo affinché i Lep vengano garantiti e finanziati come previsto dalla Costituzione, il Paese è già spaccato”. Maria Domenica Castellone, (M5S) ricorda come non sia stata calendarizzata prima la legge di iniziativa popolare che avrebbe “corretto le storture prodotte dalla riforma del Titolo V”. E aggiunge, rivolgendosi ai banchi della maggioranza: “Abbiamo fatto 50 audizioni ma di quelle audizioni non avete recepito nulla: tutti si sono detti contrari, dalla Cei a Bankitalia. Ma allora a che cosa servono le audizioni? Con questa legge casca la maschera dei patrioti italiani”.

L’Autonomia regionale differenziata è agli ultimi passaggi parlamentari, con accelerazioni dovute all’esigenza di una parte della maggioranza di ottenere il voto prima delle elezioni europee.

Così un provvedimento che cambierà per sempre i connotati del nostro Paese sarà approvato all’insaputa della gran parte dei cittadini italiani, senza alcun dibattito pubblico e con il ridimensionamento del ruolo del Parlamento, di cui la scelta di non proclamare l’esito di una votazione alla Commissione Affari costituzionali di mercoledì scorso e di ripeterla in data odierna è solo l’ultimo episodio.

Più di 70 esponenti della società civile hanno aderito all’appello di Carteinregola e Articolo 21 per chiedere alle deputate e ai deputati di difendere le conquiste democratiche incarnate dalla nostra Costituzione, tra questi il vice presidente di ANPI Emilio Ricci e di ACLI, Antonio Russo, i Comitati per il ritiro di ogni Autonomia differenziata, ilCoordinamento per la democrazia costituzionale, la segreteria dei Lavoratori della Conoscenza della CGIL, Fabrizio Barca del Forum Disuguaglianze e Diversità, Tomaso Montanari, Rettore dell’Università per stranieri di Siena, i presidenti di The Good Lobby Italia e Openpolis, insieme a decine di intellettuali che da tempo si battono contro lo “spacca Italia”, a partire da Gianfranco Viesti, autore dei libri dedicati alla “secessione dei ricchi”, i costituzionalisti Massimo Villone e Francesco Pallante, Paolo Maddalena, già giudice costituzionale, lo scrittore Maurizio De Giovanni, Isaia Sales, docente di Storia delle mafie, Giuseppe De Marzo, Responsabile delle politiche sociali di Libera contro le mafie, e decine di docenti ed esperti delle tante materie che rischiano il salto nel buio del passaggio all’esclusivo potere legislativo e amministrativo delle Regioni.

80 firme per dire NO all’Autonomia differenziata che spezza l’Italia e aumenta le disuguaglianze

L’autonomia regionale differenziata proposta dal Ministro Calderoli, già approvata al Senato e attualmente all’ esame alla Camera dei Deputati, sfascia l’Italia, la riporta alla dimensione degli staterelli preunitari e delle dominazioni straniere. 23 materie oggi esclusiva dello Stato o concorrenti Stato – Regioni potranno essere scelte, come un menu a la carte, da ogni Regione, per ottenerne l’esclusiva potestà legislativa e amministrativa. Materie che comprendono le norme generali sull’istruzione, il paesaggio, il patrimonio storico e artistico della Nazione, l’ambiente, la biodiversità, ma anche la sanità, le autostrade, i porti e gli aeroporti, la protezione civile, la produzione e distribuzione dell’energia e molte altre. Si trasferiscono così poteri senza responsabilità, impedendo di disporre di quell’angolo visuale nazionale e sovranazionale che oggi è indispensabile per affrontare la complessità. Saremo un Paese Arlecchino ripiegato su se stesso, incapace di guardare al futuro, che conterà sempre meno nella Unione Europea.

Ma l’autonomia differenziata riguarda anche i diritti dei cittadini, delle persone: non è solo la secessione dei ricchi, come ha scritto Gianfranco Viesti, ma anche una guerra tra poveri, che emargina il Mezzogiorno e le aree interne del Centro e del Nord.
Un Disegno di legge che esclude il Parlamento dalla maggior parte dei passaggi decisionali, che riguarderanno solo il Governo e le singole Regioni. E si aggiunge ora l’ultimo sfregio, ancora prima dell’arrivo in Aula, della decisione del Presidente della Commissione Affari Costituzionali di non proclamare l’esito di una votazione nella quale era stato approvato un emendamento dell’opposizione sul primo articolo del DDL Calderoli, grazie all’assenza di alcuni componenti della maggioranza. Il rinvio a una nuova seduta per un voto con numeri più favorevoli, è un fatto di una gravità inaudita e un vulnus per la democrazia, in quanto si introduce un precedente i cui usi futuri non possono essere assolutamente prevedibili.

Chiediamo alle Deputate e ai Deputati della Repubblica di assumere la responsabilità delle proprie funzioni e di difendere le conquiste democratiche incarnate dalla nostra Costituzione, l’unità della Repubblica nata dal Risorgimento e dalla Resistenza e l’uguaglianza dei diritti, anche se il percorso verso i traguardi indicati dalle nostre Madri e Padri costituenti è ancora lungo.
Un percorso che ora potrebbe interrompersi irreversibilmente.





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