“Bruciare il tricolore”. Lega Nord e stigmatizzazione del Risorgimento Il caso della Lega Nord ha una sua originalità nell’eccesso, trattandosi di un’offensiva esplicita e veemente contro il mito fondatore dello stato-nazione preso come mito negativo da scardinare per essere sostituito con ben altri riferimenti storici.
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di Carmela Lettieri
L’articolo analizza le modalità attraverso cui la Lega Nord stigmatizza i simboli, gli attori e gli effetti del Risorgimento. Posizionandosi, a cominciare dalla fine degli anni 1980, come un nuovo attore politico capace di imporsi attraverso un linguaggio lontano dalla retorica tradizionale, la Lega Nord conduce un’offensiva esplicita e veemente contro il mito fondatore dello Stato-nazione preso come mito negativo da scardinare per essere sostituito con altri riferimenti storici. Il continuo processo di reinvenzione della tradizione e di risemantizzazione dei simboli, lo scarso livello teorico di elaborazione e la costante ritualizzazione dell’agire politico sono funzione di obiettivi politici immediati.
Il presente contributo alla riflessione sull’anti-Risorgimento non analizza dei testi letterari né una qualsivoglia rappresentazione artistica del momento fondatore dello stato-nazione italiano, soffermandosi invece su un’altra forma di discorso, che è pur sempre una costruzione simbolica e dunque una rappresentazione della realtà storica, cioè il discorso politico. Quest’ultimo ha sicuramente ragioni, modalità e obiettivi diversi rispetto al discorso artistico e letterario ma ha con esso anche alcune affinità, se non altro perché, volendoli analizzare, in entrambi i casi si tocca il delicato tema del rapporto tra realtà e rappresentazione. Senza voler risolvere in questa sede una questione complessa, che è certamente semplicistico presentare in termini di una più o meno ampia fedeltà della rappresentazione rispetto ad una realtà data, è opportuno ricordare che ogni lettura di un certo periodo storico è essa stessa storicizzata e da storicizzare. Diventa allora utile spiegare perché e come le visioni della storia siano soggette a cambiamento e indagare sulle ragioni per cui alcune di esse si impongano diventando quindi dominanti, sul perché e sul come emergano a volte delle visioni alternative, critiche, nuove e diverse da quelle condivise fino a quel momento.
Per cogliere gli accenti del linguaggio usato dagli esponenti e militanti della Lega Nord.
La rappresentazione del Risorgimento elaborata e diffusa dal discorso della Lega Nord costituisce un esempio contemporaneo, quanto mai vivo e rovente, di vero e proprio attacco al mito storico. Uno degli obiettivi principali delle invettive leghiste è il tricolore che, bruciato nell’inno informale intonato dai militanti nei raduni del partito, è stato più volte destinato dal leader leghista Umberto Bossi ad usi ancor meno nobili e soprattutto molto lontani da quelli di solito attribuiti ad un vessillo nazionale. La feroce stigmatizzazione dei simboli è parallela alla critica degli attori del Risorgimento e delle modalità e degli effetti della costruzione dello stato italiano, critica basata sull’idea di un’Italia colonizzatrice nei confronti delle regioni del Nord. Questi argomenti costituiscono uno degli innumerevoli risvolti dell’antistatalismo che ha fatto di questa formazione politica, a partire dall’inizio degli anni 1990, il principale imprenditore della crisi dell’identità nazionale, crisi diventata cavallo di battaglia e assurta a motivo ricorrente se non perno del dibattito pubblico.
Certo il processo di costruzione dell’unità italiana ha fin dall’inizio prodotto delle visioni disilluse, innumerevoli sono state le riletture di questo o quell’episodio, molteplici i distinguo tra le diverse anime o i diversi personaggi e frequenti le denunce del tradimento degli ideali iniziali, ma raramente ci si è trovati di fronte ad un rifiuto in blocco del mito risorgimentale.
Il caso della Lega Nord ha una sua originalità nell’eccesso, trattandosi di un’offensiva esplicita e veemente contro il mito fondatore dello stato-nazione preso come mito negativo da scardinare per essere sostituito con ben altri riferimenti storici.
Non si tratta solo di un attacco, spesso condotto con accenti virulenti e sicuramente sistematico, ai simboli che fondano l’immaginario risorgimentale, ma del prototipo di un uso strumentale, condotto secondo modalità che vanno analizzate, dell’anti-Risorgimento. Lo sfruttamento di questo tema a fini politici interviene in un periodo della storia politica italiana, quello degli ultimi due decenni, in cui la critica del momento fondatore e costitutivo dello stato-nazione assume valenze particolari. Sarebbe errato affermare che il discorso di questa formazione rappresenta un archetipo del discorso politico contemporaneo, ma è pur vero che la Lega costituisce un esempio, originale e innovativo quanto si vuole ma allo stesso tempo rappresentativo, di quel che resta oggi nella cultura politica italiana, e soprattutto nella cultura politica delle sue classi dirigenti, della memoria di quel che accadde 150 anni fa.
Il discorso della Lega intorno al Risorgimento esprime quindi non solo le posizioni individuali, provocatorie ed estreme dei suoi leaders, non solo i riferimenti culturali dei suoi militanti, ma anche un humus politico più generale, un humus culturale, e forse anche – e qui tocchiamo gli aspetti più profondi del fenomeno – un humus che potremmo dire antropologico. Diventa allora interessante provare ad individuare alcuni degli aspetti del ruolo che in questo contesto assumono certe invettive della Lega come lo slogan che recita « La Lombardia è una nazione, l’Italia solo uno stato ». È bene ricordare che questa componente antistatalista rinvia a un discorso comune se non a tutti sicuramente ad alcuni dei più importanti partiti politici italiani contemporanei. La forma-stato è per esempio rimessa in discussione secondo modalità diverse sia dal leghismo che dal berlusconismo, anche se la Lega elabora, usa e diffonde l’antistatalismo costruito all’inizio degli anni 1990 intorno alla rivolta fiscale, in un modo originale che ha una sua particolare efficacia.
L’obiettivo di questo contributo è di proporre un’analisi basata su un corpus molto vasto costituito da un insieme di documenti ufficiali, tra cui alcuni discorsi pronunciati in Parlamento dai deputati e senatori leghisti, e da materiali meno formali e formalizzati : interventi alle manifestazioni e ai comizi, volantini e manifesti elettorali, documenti interni all’organizzazione diffusi tra i militanti e attraverso le organizzazioni giovanili, articoli della stampa di partito, in particolare del quotidiano « La Padania ». Si tratta quindi di materiali comunicativi eterogenei che hanno caratteristiche diverse e che, anche se vanno maneggiati con una certa precauzione, possono tuttavia essere studiati con le armi dell’analisi linguistica e discorsiva. La loro eterogeneità è dovuta in primo luogo al fatto che si tratta sia di testi scritti sia di discorsi orali. Inevitabili sono poi le differenze nello stile, nel lessico e nel registro che derivano dal ruolo del locutore (parlamentare, ministro, semplice iscritto), dal contesto (prossimità o meno con una competizione elettorale), dalla situazione (istituzionale, pubblica o informale), dagli interlocutori e dal publico (militanti ed elettori in occasione delle adunate, lettori della stampa di partito, avversari politici in Parlamento). Pur tuttavia, e nonostante la loro grande eterogeneità, questi materiali vanno visti nel loro insieme perché compongono tutti, a vario titolo, i diversi tasselli di un unico atto linguistico performativo, un atto quindi con cui si compie quello che si dice di fare. Partendo dal presupposto che ogni discorso, e a maggior ragione il discorso politico, è un atto performativo, è lecito chiedersi : « quali cose fa la Lega con le parole ? »
Se all’inizio degli anni 1990 la Lega Nord ha rappresentato una novità nel panorama politico italiano questo era in gran parte dovuto non solo ai temi nuovi, in primis il federalismo e le riforme costituzionali, che facevano così irruzione sulla scena politica, ma anche alle diverse modalità discorsive, quindi al tipo di linguaggio completamente al di fuori della retorica politica tradizionale, con cui venivano espressi. Con l’avvicinarsi delle celebrazioni per il cento-cinquantenario dell’unità, gli interventi su temi storici si sono fatti via via più frequenti, toccando punte altissime di provocazione e violenza verbale che vanno interpretate alla luce della storia del movimento e del contesto politico attuale.
La storia del passaggio dalle rivendicazioni culturali e linguistiche della Liga Veneta
Quando si voglia ripercorrere il retroterra del movimento leghista contemporaneo viene inevitabilmente in mente la metafora del fiume carsico. Al di là del contesto più attuale, le strategie leghiste non sono il frutto di improvvisazione politica ma hanno radici profonde nella cultura delle regioni settentrionali e in particolare del Nord Est. Nel ritracciare la lunga storia di questi localismi è utile ricordare due episodi. Il primo riguarda il timore espresso da Luigi Muzzati, già presidente del consiglio dei ministri, al suo successore Vittorio Emanuele Orlando nel 1920, e cioè che nei territori dell’ex Serenissima potesse sorgere « un’Irlanda veneta ». Il secondo è più vicino nel tempo e riguarda l’apparizione di una sedicente « Armata dolomitica indipendentistica » che diffonde sulla stampa locale sul finire del 1979 un decalogo separatista il cui primo punto è la creazione di uno stato indipendente sul territorio corrispondente alla provincia di Belluno.
Due dei tanti episodi che si possono citare e che mostrano come il problema dei localismi, in particolare di quello veneto, non sia nato oggi e come molto diverse siano le matrici storiche dell’autonomismo piemontese, lombardo o veneto.
Le ragioni che hanno determinato l’emergenza delle lighe regionali prima, negli anni 1980, e della Lega Nord poi, a partire dal 1990, vanno ricercate nella commistione di più fattori, economici e sociali prima che meramente politici. Essi delineano un fenomeno complesso in cui si mescolano elementi di continuità e di rottura, che hanno inciso sui meccanismi della rappresentazione politica nelle regioni settentrionali. Le differenze regionali dei localismi settentrionali persistono e addirittura si rafforzano nel momento dell’entrata in politica della Lega Nord. L’intuizione vincente di Umberto Bossi è stata la sua capacità di proporre una leadership che ne sintetizzasse le diverse anime, riassumendo in una mitica Padania le rivendicazioni di queste regioni. È stato in questo modo fornito un efficente strumento di rappresentazione degli interessi della zona pedemontana della piccola e media impresa, diversi da quelli delle grandi aree urbane, all’interno di una galassia di situazioni eterogenee e di tensioni che ridefinivano all’epoca i rapporti tra centro e periferia e costituivano una difficile quanto inedita « questione settentrionale ».
La spiegazione dell’ondata di mobilitazioni etno-regionalista non è quindi da cercare nel potenziale etnico delle regioni quanto nella disponibilità dell’etnicità come principio di legittimità per l’acquisizione di nuovi diritti e privilegi di cui è esempio l’uso simbolico del territorio « contro la politica » secondo l’efficace formula di Ilvio Diamanti.
Le posizioni delle lighe negli anni 1980 (centrate sugli aspetti culturali e linguistici delle rivendicazioni localistiche) non sono le stesse di quelle della Lega del 1994 con la partecipazione al primo governo Berlusconi e la legittimazione politica del movimento. Né tantomeno esse coincidono con quelle del 1996-1997, periodo di rottura segnato da vere e proprie rivendicazioni secessionistiche e dal lancio del Parlamento del Nord. Un nuovo cambio di rotta è stato poi effettuato nel 2001 quando la Lega, diventata ormai forza stabile di governo e alleato strategico della compagine governativa di centrodestra promulga un’attenuazione del secessionismo con il federalismo fiscale e la devolution. La lenta ma progressiva evoluzione delle posizioni dei dirigenti del partito rispetto all’assetto istituzionale nazionale ha fatto sì che si potesse parlare di un vero e proprio tradimento delle istanze culturali iniziali. Alla luce di questa evoluzione è anche fuorviante proporre delle chiavi di lettura univoche di un fenomeno che presenta numerose sfaccettature. La Lega si posiziona allo stesso tempo come partito di lotta, che vive anche se non esclusivamente del voto di protesta, e partito di governo. Da qui la veemenza del linguaggio e delle sue proposte ma anche una certa loro incoerenza che sarebbe riduttivo leggere unicamente con la lente della derisione o del neo-populismo.
Alla base dell’azione di smantellamento del mito del Risorgimento c’è la volontà di riscrivere la storia attraverso un processo continuo di reinvenzione della tradizione.
La tesi sostenuta dai leghisti, in questo aiutati da medievisti ultracattolici, è che nel 1167, con il giuramento dei comuni della Lega Lombarda a Pontida, seguito dalla battaglia di Legnano, nacque il federalismo antimperiale, pietra angolare della Padania come entità costituzionale. Questa tesi si appoggia sulla rivalutazione di una figura storica discutibile se non poco attendibile come quella di Alberto da Giussano, da cui il simbolo del Carroccio, nome metonimico per indicare la Lega attuale.
Mameli, primo ladro della storia d’Italia. Risorgimento, l’altra verità,
Al Medieoevo riabilitato fa da contraltare il Risorgimento stigmatizzato. Abbiamo visto come la delegittimazione del momento fondatore dello stato nazione si basi sull’attacco ai suoi simboli, come nel caso della denigrazione del tricolore. La stessa operazione è stata condotta sui suoi attori principali e sull’inno di Goffredo Mameli a partire da un articolo pubblicato su « La Padania », che è solo la prima puntata di una serie sul « vero Risorgimento », molto diverso secondo le intenzioni del giornale da quello che tutti hanno studiato a scuola. Si parte, appunto, da G. Mameli, che si merita gli appellativi di « ladro » e « opportunista ». Il motivo sarebbe proprio legato a « Fratelli d’Italia ». G. Mameli infatti non avrebbe scritto di proprio pugno l’inno nazionale, ma ne avrebbe copiato le strofe da Anastasio Cannata, un frate appassionato di poesia che gli aveva offerto rifugio. Non un padre della patria, dunque, ma un usurpatore. Questo è Goffredo Mameli secondo « La Padania ». Un trattamento non meno tenero è stato riservato, sempre dalla « Padania », a Giuseppe Garibaldi « avventuriero », « cosmopolita massonico al soldo degli inglesi », reo d’aver cacciato uno dei « modelli migliori di onestà regia in Europa, devoto alla chiesa », cioè i Borboni, « negriero e commerciante di schiavi »
Il Risorgimento è saccheggiato da un revisionismo che rimpiange gli antichi particolarismi feudali senza imbarazzo per i travisamenti storici e i malintesi che questi producono. A proposito dell’inno non si capisce perché la lega critichi G. Mameli, ma adotti invece il « Va pensiero », cioè una musica grondante di rimembranze unitarie che prende tinte finanche un po’ patriottarde. La spiegazione allegata è che Temistocle Solera, l’autore del testo, fosse su posizioni federaliste.
L’invasione di Pontida da parte dei leghisti per trasformarla nel simbolo della libertà padana, permette di riesumare una antica leggenda patriottica e usare contro lo stato-nazione italiano i suoi stessi simboli.
Il giuramento degli emissari dei comuni lombardi del 4 aprile 1167, carico di tinte religiose, celebrato e diffuso nei circoli antiaustriaci dai versi di Giovanni Berchet, era stato in effetti ripreso dai patrioti nel 1848, poi diventato riferimento dei neoguelfi e infine simbolo della resistenza passiva dei cattolici sottomessi al non expedit papale dopo la presa di Porta Pia.
Se è facile individuare in tutti questi esempi una predicazione storiografica strumentale e propagandistica essi mostrano anche come la Lega operi una efficace risemantizzazione dei simboli in funzione di obiettivi politici attuali. Inoltre è importante sottolineare il bisogno di sopperire alla mancanza di un mito positivo con la delegittimazione che mette un altro mito sotto una luce negativa. Allo stesso modo il leghismo ha sostenuto e sostiene sempre più l’identità territoriale per differenze, grazie a un’intuizione politica che ha sostituito la mancanza di un’identità in positivo. In assenza di un reale e concreto passato su cui appoggiarsi, di un reale e storico popolo padano accertato, la società padana si percepisce come comunità solo in riferimento ad una minaccia di origine esterna. Parallelamente per dare forza al mito del Medievo, della Lega lombarda e del Carroccio, bisogna opporgli il suo contraltare negativo che è il Risorgimento, con tutto lo strascico di simboli che esso comporta.
È legittimo chiedersi quali siano i riferimenti storiografici della Lega e di cosa sia composta la biblioteca dei suoi militanti. Fra gli studiosi vicini al partito la figura chiave è senza dubbio quella di Gianfranco Miglio, teorico del federalismo che per anni ha proposto un’alternativa all’assetto statale vigente. “Compagnon de route” della Lega Nord fin dai suoi albori, al secondo congresso della Lega Lombarda del 1993 G. Miglio presenta il decalogo di Assago da lui redatto che prevedeva la creazione di tre macroregioni (la Repubblica del Nord, la Repubblica dell’Etruria, la Repubblica del Sud) accanto alla conservazione delle cinque regioni a statuto speciale esistenti. Non si ha qui lo spazio per approfondire la complessità e a volte le ambiguità e incoerenze del progetto di G. Miglio che già allora invitava a « distinguere il vero federalismo dai vari “autonomismi” e “regionalismi” in circolazione, che rappresentano soltanto travestimenti del vecchio Stato unitario »I contrasti con i dirigenti del partito sorti nel 1994 a causa del disaccordo sull’alleanza con Silvio Berlusconi, portarono poi alla rottura definitiva.
In seguito la Lega, ritrovatasi orfana del proprio ideologo, ha invano cercato di sostituirne la figura. Ci ha provato con Gilberto Oneto, architetto e divulgatore dei simboli dell’identità culturale dei popoli padano-alpini, dal 1995 direttore della rivista « Quaderni padani », autore di una biografia provocatoria su G. Garibaldi. Anch’egli è però presto entrato in polemica con la leadership del partito.
Il cattolicesimo a cui si ispira il leghismo è di tipo quasi pagano
Un punto interessante da sottolineare è come la Lega si trovi invece in singolare sintonia con un certo revisionismo cattolico sanfedista e borbonico. Ne è un esempio Angela Pellicciari, studiosa di storia ecclesiastica, cattolica. Le sue posizioni basate sulle riabilitazioni catto-tradizionaliste dell’anti-Risorgimento fanno comodo alla Lega il cui giornale pubblica numerosi articoli. Si è arrivati quindi a uno strano accordo (o nuovo « patto scellerato » per parafrasare Antonio Gramsci), con quella particolare ala dei neoborbonici e nuovi sanfedisti che è il movimento per l’autonomia di Raffaele Lombardi.
L’uso degli intellettuali come fiore all’occhiello per nobilitare le rivendicazioni leghiste ha lo scopo di fornire una base teorica e storica adeguata ad un discorso che ha soprattutto obiettivi politici. In questo tentativo di costruzione ideologica la stampa di partito ha un ruolo preponderante. Nonostante tutto siamo tuttavia di fronte ad uno scarso livello teorico di elaborazione. Il linguaggio della Lega si situa più spesso a un livello che potremmo definire prepolitico, si tratta insomma di un discorso “di pancia“. La strategia di rielaborazione dell’identità locale non puó non passare attraverso un linguaggio « popolano » di cui si enfatizzano gli aspetti più grevi e diretti percepiti come buffoneschi se non addirittura volgari.
la Lega Nord pratica una forma di comunicazione elementare, quella che si è instaurata sui territori e in cui l’unica ideologia è quella delle piccole e fredde passioni del benessere e del successo economico.
Questa forma di comunicazione si basa anche su un forte ritorno al rito, ricordando e accentuando in questo alcune delle strategie dei vecchi partiti di massa. Ne troviamo un esempio nella ritualizzazione delle scene iniziatico-circensi delle ampolline alle sorgenti del Po o nelle messinscene spettacolari organizzate in occasione dei congressi di partito.
La presa elettorale di questo partito sta proprio nell’equilibrio tra vecchi e nuovi metodi. La Lega è oggi l’esempio di un partito organizzato e concreto, radicato nel territorio, che fornisce a livello locale soluzioni pratiche e incisive, in opposizione al partito leggero che si era imposto negli anni 1990 con Forza Italia. Nello stesso tempo il leghismo usa i simboli e fa della ritualizzazione un suo punto di forza situandosi efficacemente tra il concreto e il simbolico, tra le esigenze della prassi politica e l’elaborazione mitologica.
Nella Grecia antica, la stigmate era il marchio che si imprimeva a fuoco sul bestiame come segno
Alla base di questo « agire simbolico » troviamo le diverse forme di stigmatizzazione e l’accentuazione del carattere performativo del linguaggio. La Lega spinge all’estremo il senso della stigmatizzazione, che è nella Grecia antica un marchio a fuoco : da qui l’efficacia simbolica del « bruciare il tricolore » Per essere efficace il rito deve poi essere ricorrente. Basti pensare al ministro leghista preposto alla semplificazione legislativa, Roberto Calderoli, che come primo atto ufficiale manda al rogo le cosiddette « leggi inutili » dello Stato.
Il linguaggio politico deve la sua espressività anche al tipo di partita in gioco e alla strategia di differenziazione all’interno della competizione politica. Accade di continuo che alcuni esponenti della Lega lancino affermazioni paradossali per poi smentirle subito il giorno dopo e questo è anche il modo più rapido e efficace per acquistare immediatamente la visibilità mediatica. Ma il carattere provocatorio di alcune affermazioni e proposte è anche un modo per rendere immediatamente identificabile il messaggio leghista nel panorama generale dei messaggi politici. Messaggi chiari, più agguerriti che mai, inviati al proprio elettorato, il popolo della Padania che deve immediatamente sapere e percepire la presenza e la forza del proprio partito di riferimento. I reiterati inviti a prendere le armi contro lo « Stato colonizzatore », poi puntualmente ritrattati, sono lo strumento per creare un’occasione di polemica politica.
Da qui lo scarso livello di elaborazione teorica. Si tratta di un discorso che deve presentarsi come estraneo alle ideologie tradizionali e che quindi necessita costantemente di contrapporsi ad esse32. Gli schemi discorsivi della Lega sono quelli di una ideologia in formazione che mantiene costantemente alto il livello « umorale » del linguaggio politico, che esprime il risentimento, la paura, il rancore.
La Lega non difende gli interessi contro le passioni ma difende « interessi appassionati » attraverso un discorso che si nutre di una produzione simbolica in cui gli stereotipi la fanno da padrone. Questo non vuol dire però che essa non sia dotata di senso e non abbia effetti pratici. Per questo è necessario soffermarsi per cercare di capire questo fenomeno politico, anche se, come sottolinea Aldo Bonomi,
di fronte al crescere della pianta del leghismo l’hanno scambiata per gramigna da trattare con il diserbante dell’irrisione.
Fenomeno politico e culturale ai limiti del folklore, la Lega Nord ha infatti saputo imporre « la concretezza dell’invettiva all’astrattezza del politichese »a tal punto che il suo impianto ideologico rischia di contaminare il senso comune.
.Lentamente passa un messaggio che un tempo nessuno avrebbe minimamente preso in considerazione. Il messaggio del ritorno al localismo, il messaggio delle piccole patrie, il messaggio dei dialetti al posto dell’italiano, il messaggio della bandiera, e poi ora quello dell’inno […] Sono per la maggior parte uscite ignoranti buttate là per il volgo padano che non sa niente di queste cose. Però funzionano, perché sono dei tarli che agiscono nella profondità delle coscienze. Dove tutta una serie di valori unitari e solidali di un paese che ha costruito un’epopea del Risorgimento vanno a svanire, questo continuo martellamento rischia di provocare il deserto culturale di una parte importantissima del paese.
Notes
Per cogliere gli accenti del linguaggio usato dagli esponenti e militanti della Lega Nord, un’utile illustrazione è data dal documentario Camicie verdi, realizzato nel 2006 da Claudio Lazzaro, prodotto dalla Nobu Productions e distribuito dalla Dolmen Home Video. I titoli di testa mostrano una sfilata di militanti che intonano le eloquenti parole dell’inno padano : « E noi che siamo padani, abbiamo un sogno nel cuore, bruciare il tricolore, bruciare il tricolore ». Estratti di interventi di Umberto Bossi ai tradizionali raduni del partito a Venezia ne costituiscono le prime sequenze. Il leader leghista, rivolgendosi ad un’abitante della città che in quell’occasione è solita affiggere la bandiera nazionale al balcone di casa, lancia la seguente invettiva : « Camicia verde, bandiera verde. Uomini delle colonie padane, prepariamoci […]. Patrioti padani decisero di lottare contro l’Italia colonizzatrice […]. Viva la Padania, viva la libertà. È inutile il tricolore, lo metta al cesso, signora. »
La prima elezione di rappresentanti delle lighe regionali, un deputato e un senatore della Liga Veneta, è del 1983. Nel 1987 entrano in Parlamento un deputato e un senatore della Lega lombarda. Quest’ultimo è Umberto Bossi da allora comunemente chiamato il senatùr. Il balzo elettorale si ha nel 1992, quando la Lega Nord guadagna 80 seggi. Successivamente, questo risultato è confermato alle politiche del marzo 1994, quando il partito conquista 117 seggi alla Camera e 60 al Senato. Irene Pivetti, all’epoca giovane esponente leghista, è la seconda donna ad assumere la carica di presidente della Camera nella storia italiana. Dopo le elezioni del 2008 i senatori leghisti sono 26 e i deputati 59.
L’associazionismo leghista è diventato nel corso degli anni molto pervasivo. Si va dalle associazioni attive nel sociale (Medica Padana, Padanas-sistenza, Insieme nel futuro), del volontariato (Umanitaria Padania Onlus, Co.Pam.), delle donne (Donne padane), dello sport (Ciclisti padani, Alpe, Padania calcio), del tempo libero (Centro culturale Roberto Ronchi, Collezionisti padani), della cultura (Musicisti padani, Arte Nord), alla protezione dell’ambiente e del territorio (Alpini padani, Guardia nazionale padana, Volontari verdi). Queste associazioni collaterali producono e diffondono una notevole quantità di documenti interni. Le organizzazioni giovanili, fra cui il Movimento dei giovani padani, Scuola Bosina e Orsetti padani, avendo come obiettivo di formare i futuri militanti e quadri del partito, sono quelle più attive nel produrre documenti con un intento pedagogico che toccano temi storiografici.
I principali organi d’informazione del partito sono stati creati durante la fase secessionista della Lega. È il caso del quotidiano « La Padania », di cui alcuni numeri zero uscirono durante le manifestazioni sul Po del 1996. Il quotidiano è in edicola dal 1997, Umberto Bossi ne è da sempre il direttore politico, mentre dal 2006 il direttore responsabile è Leonardo Boriani. Dal 2005 la dicitura « La voce del Nord » che appariva sotto la testata è stata abbandonata, segno della volontà di espandere il partito anche nelle regioni centrali. La tiratura del quotidiano si situa intorno alle 60.000 copie. « Telepadania », diretta da Max Pasini, ha iniziato le trasmissioni il 12 ottobre 1998, a partire dall’esistenza dell’associazione « Etere Padano », finanziata da Raimondo Lagostena Bassi. « Radio Padania Libera » è nata invece nel 1990 quando la Lega Lombarda ha acquistato le frequenze dell’emittente « Radio Varese », erede della tradizione delle radio libere legate negli anni 1970 ai movimenti di sinistra. Roberto Maroni, segretario provinciale varesino del partito e poi ministro, ne era stato uno dei fondatori. L’emittente radiofonica, che dà largo spazio all’uso del dialetto e al filo diretto con gli ascoltatori, è diventata la voce della base del partito e un termometro del suo umore.
L’interrogativo qui formulato è la parafrasi di un concetto di John Langshaw Austin, iniziatore della teoria degli atti di linguaggio e padre della linguistica pragmatica, che riprende il titolo di una sua celebre lezione all’università di Harvard del lontano 1955 : How To Do Things With Words (Come fare cose con le parole).
Uno spazio a parte meriterebbe l’analisi dell’oratoria di U. Bossi. Formatosi al di fuori dei canali di formazione politica tradizionali e per questo sovente definito all’inizio della sua carriera balabiott (in lombardo un perditempo senza arte né parte), ha coltivato una retorica popolana, caratterizzata per esempio dall’uso accentuato delle onomatopee e di altri suoni extralinguistici a tal punto che Giovanni Meo Zilio, studioso di glottologia e parlamentare leghista, ha persino ritenuto opportuno studiarne la voce. Cfr. il ritratto che ne fa il corrispondente locale de « la Repubblica », Guido Passalacqua in Il vento della Padania. Storia della Lega Nord 1984-2009, Milano, Mondadori, 2009.
La storia del passaggio dalle rivendicazioni culturali e linguistiche della Liga Veneta a quelle politiche ed economiche della Lega Nord è tracciata con dovizia di particolari in un libro scritto da un attento osservatore locale, ex vicedirettore del quotidiano veneziano « Il Gazzettino », Francesco Joris, Dalla Liga alla Lega. Storia, movimenti, protagonisti, Venezia, Marsilio, 2009. Il Movimento per la rinascita piemontese, che ha avuto nella rivista « Arnassita piemonteisa » il suo principale centro di elaborazione, è fondato nel 1978 da Roberto Gremmo. La Lega Autonomista lombarda (Unolpa) lanciata da Umberto Bossi nel 1984 ne è un fratello minore. Liga Veneta, Piemont Autonomista, Union Ligure, Lega Emiliano-Romagnola, Alleanza Toscana si riuniscono nel 1989 in un cartello elettorale, Alleanza Nord, da cui nascerà l’anno seguente la federazione della Lega Nord.
Non si hanno notizie storiche e biografiche certe di questa figura. Appare per la prima volta nelle cronache storiche della città di Milano per aver organizzato la Compagnia della Morte voluta dai comuni come Brescia che appoggiarono l’ideale comunale (e papale) contro l’esercito imperiale di Federico Barbarossa. Simbolo della battaglia di Legnano celebrata durante il Risorgimento come una vittoria del popolo italiano contro l’invasore straniero, viene incluso da Goffredo Mameli nel Canto degli italiani, Giuseppe Verdi ne celebra la figura nella sua opera in quattro atti « La battaglia di Legnano » e nel 1879 Giosuè Carducci ne fa uno dei protagonisti della sua « Canzone di Legnano ».
Mameli, primo ladro della storia d’Italia. Risorgimento, l’altra verità,
« La Padania », 2 settembre 2009. Cfr. anche le dichiarazioni di U. Bossi al congresso della Lega a Padova il 22 luglio 2009 : « Non dobbiamo più essere schiavi di Roma. L’Inno dice che “l’Italia è schiava di Roma…”, toh ! Dico io ».
« La Padania », luglio 2007. L’articolo si riferisce all’episiodio in cui G. Garibaldi aveva accettato di condurre una nave con lavoratori cinesi dal Perù a Hong Kong per conto di un armatore genevose. L’episodio rivelato dallo storico Giorgio Candeloro non è però confermato da fonti sicure.
Il Giuramento di Pontida di G. Berchet, pubblicato per la prima volta nel 1829 a Parigi nella raccolta Le Fantasie, fa bella mostra di sé fra i testi di riferimento del Movimento dei giovani padani.
Gianfranco Miglio è l’autore di un saggio critico sugli effetti della piemontesizzazione scritto nel 1969 in occasione del centenario delle leggi di unificazione : Le contraddizioni dello stato unitario. Cfr. dello stesso autore : Vocazione e destino dei lombardi, in AA.VV., La Lombardia moderna, Milano, Electa, 1989, ripubblicato in G. Miglio, Io, Bossi e la Lega, Milano, Mondadori, 1994. Le tesi dell’autore hanno cominciato a trovare spazio nel dibattito pubblico a metà degli anni settanta. Cfr. Gianfranco Miglio, La Padania e le grandi regioni, « Corriere della Sera », 28 dicembre 1975.
Soprattutto G. Miglio non gradì la nomina di Francesco Speroni a ministro delle Riforme istituzionali al posto suo. Cfr. Miglio : con Bossi è un amore finito,« Corriere della sera », 17 maggio 1994 ; Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la repubblica, « Il Giornale », 20 marzo 1999.
Nonostante la rottura, la Lega Nord continua a rivendicare la filiazione diretta rispetto alla figura di G. Miglio a cui è dedicato uno spazio importante sul sito ufficiale del partito con testi, interviste e testimonianze.- Cfr. http://www.leganord.org/elezioni/2008/bossi_miglio/default.asp, pagina consultata il 9 febbraio 2011.
Bandiere di libertà. Simboli e vessilli dei popoli dell’Italia settentrionale, Milano, FdF, 1992 ; Pianificazione del territorio, federalismo e autonomie locali, Firenze, Alinea, 1994 ; L’invenzione della Padania,Ceresola (Bg), Foedus Editore, 1997 ; L’iperitaliano. Eroe o cialtrone ? Biografia senza censure di Giuseppe Garibaldi, Rimini, Il Cerchio, 2006.
Il cattolicesimo a cui si ispira il leghismo è di tipo quasi pagano e i rapporti con la Chiesa sono sempre stati complessi. Il partito assume posizioni a volte persino anticlericali ed è comunque in conflitto con la tradizione cattolica su molti punti come per esempio sull’immigrazione.
I panni sporchi dei Mille. L’invasione del Regno delle Due Sicilie, Roma, Liberal, 2003 ; Risorgimento da riscrivere. Liberali e massoni contro la Chiesa, Milano, Ares, 2004 ; Risorgimento anticattolico, Milano, Piemme, 2005 ; L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Milano, Piemme, 2006 ; I papi e la massoneria, Milano, Ares, 2007.
Angela Pellicciari, L’obiettivo di Cavour : uno Stato forte e potente, « La Padania », 22 agosto 2001 ; I Mille ? Benedetti dal conte di Cavour, « La Padania », 21 ottobre 2001.
Aldo Bonomi, Il rancore. Alle radici del malessere del Nord, Milan, Feltrinelli, 2008, p. 55.
Cristina Demaria e Cecilia Gallotti, Le nuove forme dello spettacolo politico. Il congresso della Lega fra strategie comunicative e azione rituale, « Rassegna italiana di sociologia », vol. 40, n. 3, 1999, pp. 365-383.
Nella Grecia antica, la stigmate era il marchio che si imprimeva a fuoco sul bestiame come segno di proprietà oppure con cui si bollavano sulla fronte per punizione i delinquenti e gli schiavi fuggitivi.
Calderoli brucia le leggi abrogate. Il ministro per la Semplificazione manda al rogo un muro composto dalle scatole con i 375 mila provvedimenti, « Corriere della sera », 24 marzo 2010.
Umberto Bossi ha più volte ribadito che la Lega non è né di destra, né di sinistra, ma sta al disopra degli schemi politici classici.
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