La Politica ? I giovani preferiscono "stare in disparte", è il tema del convegno organizzato dal ASP La Magnolia . sabato 17 febbraio 2024 ore 17:30 , Palazzo D'Amico di Milazzo
La Politica ? I giovani preferiscono "stare in disparte" è il tema del convegno organizzato dal ASP La Magnolia . sabato 17 febbraio 2024 ore 17:30 , Palazzo D'Amico di Milazzo
Il disinteresse del giovane verso l’impegno politico è l’esito di uno scetticismo di fondo nei confronti dei partiti, incapaci di svolgere una funzione “calamita”. In quei corpi intermedi è del tutto assente una visione, un pensiero forte. E questo ha provocato lo scollamento che vediamo. Si tratta di un fatto traumatico, che deve interrogare. Visto che in passato le generazioni giovani si erano mobilitate partecipando alla vita politica italiana. Oggi non è più così. E la ormai lunga stagione del loro disimpegno va inquadrata all’interno di una criticità sostanziale che riguarda nel complesso la loro vita.
Nel complesso lo scenario che la politica offre ai giovani è quello di un “eterno presente”. Il disimpegno politico avviene però in un contesto di più generale criticità vissuta dai giovani. Si pensi ai nati all’inizio del nuovo millennio che sono cresciuti attraversando le crisi finanziarie e quindi economico-sociali dopo il 2008, le emergenze e gli isolamenti delle pandemie e ora la guerra che è andata coinvolgendo sempre più direttamente l’Italia e l’intera Europa. Tutto ciò mentre si registra una diffusa maggior fragilità di famiglia e scuola con un abbandono scolastico tra i più alti d’Europa (al 13 per cento) .
L’ultimo rapporto Istat evidenzia che uno su cinque tra 15 e 29 anni è un Neet – cioè non studia e non lavora – e che risultano anche bloccati gli ascensori sociali rischiando così di selezionare e contrapporre isole di “figli di papà” e mare di “sfigati”.
Giovanni Cominelli ha recentemente messo a fuoco come nel nostro Paese si è andato diffondendo tra i giovani con un’età media di 20 anni quel che i giapponesi chiamano lo “hikikomori”: lo “stare in disparte”. Siamo di fronte a una “totale mancanza di interesse e motivazione” da parte dei giovani che dipende – nota Cominelli – dalla “sensazione di aver perso il controllo delle nostre vite che paiono decise da forze potenti e oscure dell’economia, della finanza, del clima”.
In questo quadro si cala il sipario politico di partiti nel segno dell’“anno zero”, cioè in continua rifondazione e radicale cesura con il passato. È quel che lo storico Giorgio Caravale nel suo saggio su politica e cultura in Italia negli ultimi trent’anni definisce come “la cultura del presentismo” determinata dall’“inconfessabile desiderio dei partiti politici di liberarsi dal peso del passato”. La politica, “orfana di una storia nazionale” e con “partiti volatili, liquidi, effimeri”, offre – prosegue lo storico – “nel migliore dei casi un ruolo di ordinaria amministrazione del presente”.
Già Eric Hobsbawm, dopo la fine della Guerra fredda, a metà degli anni Novanta – ricorda Caravale – paventava “una generazione senza memoria storica, schiacciata sul presente”, “una generazione – scriveva lo storico inglese – incapace di pensare al futuro”, perché “non c’è futuro senza memoria storica” ovvero una gioventù senza filiazione, senza la coscienza di fare parte di una storia di cui ha in mano il futuro, priva di “cose per cui valga la pena di combattere”.
Oggi ci si interroga sul disinteresse dei giovani verso un engagement. Impegnarsi significa “schierarsi” e rispetto al dopoguerra e alla Guerra fredda, le idee sembrano più “liquide”.
Quali sono “cose per cui vale la pena di combattere”, tali anche da prevalere su ciò che non piace o non si capisce, che la politica offre alla passione e all’intelligenza di una nuova generazione?
Oggi secondo i sondaggi – da Nando Pagnoncelli ad Alessandra Ghisleri – i giovani risultano non solo in gran parte scettici e disimpegnati verso la politica, ma per quanto riguarda le intenzioni di voto essi appaiono divisi non in modo contrapposto: indecisi e oscillanti, disponibili a votare, a pari merito, tra partiti destra o di sinistra senza cogliere una traumatica diversità. Non ci sono particolari “calamite” che attraggono e orientano. Nel panorama politico manca “anzitutto verso i giovani – come ha sottolineato recentemente lo storico Massimo L. Salvadori – una capacità di attrazione, una visione, un pensiero forte”.
Può essere utile ricordare come in passato, invece, la gioventù abbia partecipato attivamente alla vita politica italiana. La “calamita” era l’adesione a una comunità con una identità culturale e una storia alle spalle. “Goliardia è cultura e intelligenza, è culto dello spirito, che genera un particolare modo di intendere la vita alla luce di una assoluta libertà di critica, senza pregiudizio alcuno, di fronte a uomini e istituti; e infine culto delle antichissime tradizioni che portarono nel mondo il nome delle nostre libere università di ‘scholari’”: è così che nel 1946, prima del referendum e della elezione dell’Assemblea costituente, si dava vita all’Unione goliardica italiana (Ugi). All’epoca le “calamite” erano appunto storia e ideologia.
È da tener presente come il declino che registriamo oggi nell’impegno giovanile si intrecci anche con un certo declino del ruolo, da un lato, della politica in generale e, dall’altro, dei giovani nei partiti in particolare.
Nel dopoguerra nasceva quella “Repubblica dei partiti” che durerà fino al 1992: l’Italia era infatti l’unica democrazia occidentale ad avere i partiti menzionati nella propria Carta costituzionale.
Al tempo stesso – sin da quella fase iniziale e fino al 1968 – per i giovani sarà importante la politica universitaria. “La Goliardia – ricorda il giuslavorista, ‘padre’ dello Statuto dei lavoratori, Gino Giugni – è stata una grande scuola politica, centro di formazione della classe dirigente dei partiti”. I tanto vituperati “parlamentini” erano infatti una palestra di formazione e di crescita politica. Si tratta di addestramento al confronto, secondo un pluralismo di alleanze e di scontri tra eletti. L’impegno giovanile si traduce nel cercare il consenso, organizzare l’adesione, scrivere programmi, fare campagne elettorali. Non ci sono i “grandi” alle spalle quando si litiga, si fanno accordi, si cercano i voti, si rovesciano le maggioranze.
Gli studenti universitari hanno così occasione di sperimentare un ruolo di avanguardia rispetto ai propri partiti.
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